Forniti chiarimenti sul credito d’imposta ricerca e sviluppo, di cui all’art. 3, D.L. n. 145/2013, nel settore dell’industria alimentare (Agenzia delle Entrate – Risposta 17 marzo 2021, n. 188). Nel caso di specie, le attività svolte dalla società istante, pur essendo in generale finalizzate all’ampliamento e al rinnovo dell’offerta commerciale dell’impresa attraverso l’introduzione di nuovi piatti (nuove ricette) o all’adozione di nuove tecniche di lavorazione e conservazione degli ingredienti già ampiamente diffuse tra le imprese del settore, non evidenzino contenuti significativi ai fini della loro qualificazione come attività di ricerca e sviluppo nell’accezione rilevante ai fini del credito d’imposta.
Peraltro, le attività descritte dalla società istante, attenendo in larga parte a innovazioni inerenti al marketing, non risultano caratterizzate da elementi di rischio di insuccesso tecnico e finanziario nell’accezione rilevante ai fini del credito d’imposta; non potendo tali requisiti qualificanti essere soddisfatti dalla circostanza che i “nuovi piatti” proposti potrebbero non incontrare il “gusto” e il gradimento della clientela.
Più in generale, le attività descritte dalla società istante, ivi incluse quelle concernenti la ricerca della materia prima e del percorso di “panel-test” e quelle dirette a conferire ai prodotti un particolare effetto estetico (composizione del piatto), pur mirando al rinnovo dell’offerta commerciale, devono considerarsi rientranti tra le ordinarie attività di processo e di sviluppo prodotto svolte reiteratamente dalle imprese del settore, anche al fine del mantenimento del riconoscimento del livello di eccellenza raggiunto dall’impresa.
Dunque, le attività descritte dalla società istante non costituiscono nel loro complesso attività di ricerca e sviluppo nell’accezione rilevante agli effetti del credito d’imposta di cui al richiamato art. 3 del d.l. n. 145 del 2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 9 del 2014.