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Prova delle esigenze aziendali in caso di licenziamento collettivo

In tema di licenziamento collettivo, la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale può essere dunque limitata solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale, ed è onere del...

3 Giugno 2021 da Teleconsul Editore S.p.A.

In tema di licenziamento collettivo, la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale può essere dunque limitata solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale, ed è onere del datore provare il fatto che determina l’oggettiva limitazione di queste esigenze.

Il tribunale di primo grado confermava l’ordinanza di rigetto della impugnativa del licenziamento intimato a un lavoratore nell’ambito di procedura di licenziamento collettivo, e sosteneva che: la comunicazione di avvio della procedura di mobilità, effettuata dalla società, indicava chiaramente le ragioni dell’esubero di personale, le unità da sopprimere (distinte in relazione alle aree territoriali della società) ed i relativi profili professionali; la comunicazione finale indicava l’elenco dei lavoratori con mansioni di informatore scientifico del farmaco (ISF) licenziati, coi rispettivi dati, nonché i criteri di scelta e le relative modalità di applicazione, essendo stato chiarito che, all’interno di ciascuna area geografica di appartenenza erano stati applicati i criteri dei carichi di famiglia (500 punti per ciascuno) e della anzianità aziendale (10 punti per mese); a detta comunicazione era stata poi allegata una “graduatoria di area”, che riportava, per ciascuna delle aree territoriali aziendali, l’indicazione dei punteggi attribuiti ai lavoratori comparati (distinti per anzianità e carichi di famiglia), sebbene i relativi nominativi risultassero “oscurati”; d’altra parte le contestazioni dell’opponente sull’omessa esplicitazione, nella comunicazione de qua, dei nominativi dei lavoratori comparati, erano da ritenere tardive, e dunque inammissibili, siccome formulate per la prima volta in sede di opposizione.
In ordine alla censura afferente all’ambito di individuazione del personale da licenziare (la comparazione essendo stata effettuata per singole aree geografiche, anziché su scala nazionale), il giudice rilevava che, per come chiarito nella comunicazione di avvio della procedura, la rete degli Informatori scientifici risultava interamente coinvolta nella procedura di mobilità, laddove l’area territoriale di appartenenza era solo un criterio utilizzato per la fase applicativa dei piani di esubero, ovvero come mero perimetro entro il quale far operare i criteri dell’anzianità e dei carichi di famiglia; ne conseguiva che non vi era stata limitazione di scelta dei dipendenti da licenziare solo per alcune aree geografiche, posto che tutte le aree erano state ridotte mediamente del 50%.
In ogni caso, era decisivo rilevare che emergeva che il ricorrente rivestiva la posizione 66 su 87 ISF in esubero, pertanto, anche nell’ipotesi di classifica nazionale, lo stesso sarebbe stato comunque licenziato, onde doveva ritenersi il suo difetto di interesse ad agire; d’altra parte, anche le contestazioni effettuate, da parte del ricorrente, in sede di opposizione, in merito all’efficacia probatoria di detta “griglia nazionale”, erano pure tardive ed inammissibili, posto che, a fronte della produzione di tale documento, nessuna specifica censura questi aveva sollevato.
Reclamava la suddetta pronunzia il lavoratore, cui resisteva la società. La Corte d’appello, in riforma della pronuncia impugnata, annullava il licenziamento impugnato e condannava la società a reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro ed al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata a dieci mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre a rivalutazione ed interessi, nonché al versamento dei contributi maturati nello stesso periodo ed al pagamento delle spese del doppio grado.
Dunque, la sentenza impugnata ha correttamente considerato che l’art. 4, co. 9, della L. n. 223/1991, impone che la comunicazione ivi prevista, in quanto finalizzata a consentire ai lavoratori, ai sindacati e agli organi amministrativi interessati di controllare la correttezza della comparazione, contenga, oltre che l’elenco del lavoratori licenziati, “l’indicazione puntuale delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta” e, quindi, l’indicazione completa dell’elenco (nominativo) dei lavoratori e dei punteggi a ciascuno di essi attribuito.
In tema di licenziamento collettivo, il termine di sette giorni previsto dall’art. 4, comma 9, della I. n. 223, come modificato dalla I. n. 92 del 2012, per l’invio delle comunicazioni ai competenti uffici del lavoro ed alle organizzazioni sindacali, ha carattere cogente e perentorio e la sua violazione determina l’invalidità del licenziamento, a prescindere dalla circostanza che i lavoratori abbiano successivamente avuto conoscenza di tutti gli elementi che la comunicazione deve comunque avere, atteso che detta comunicazione è finalizzata a consentire alle oo.ss. (e, tramite queste, anche ai singoli lavoratori) il controllo tempestivo sulla correttezza procedimentale dell’operazione posta in essere dal datore di lavoro, anche al fine di acquisire ogni elemento di conoscenza e non comprimere lo “spatium deliberando” riservato al lavoratore per l’impugnazione del recesso nel termine di decadenza.
L’individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità deve avvenire in relazione alle esigenze tecnico produttive ed organizzative del complesso aziendale, ciò in forza dell’esigenza di ampliare al massimo l’area in cui operare la scelta, onde approntare idonee garanzie contro il pericolo di discriminazioni a danno del singolo lavoratore, in cui tanto più facilmente si può incorrere quanto più si restringe l’ambito della selezione; la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale può essere può essere dunque limitata solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale (nella specie poco coerente con la riduzione ad ambiti territoriali), ed è onere del datore provare il fatto che determina l’oggettiva limitazione di queste esigenze, che nella specie, secondo l’accertamento della Corte di merito, non era avvenuta.

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