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Redditometro: confini della prova contraria del contribuente

La Corte di Cassazione ha affermato che, in tema di "redditometro", il giudice tributario, una volta accertata l'effettività fattuale degli specifici elementi indicatori di capacità contributiva esposti dall'Ufficio, non ha il potere di togliere ...

9 Aprile 2021 da Teleconsul Editore S.p.A.

La Corte di Cassazione ha affermato che, in tema di “redditometro”, il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori di capacità contributiva esposti dall’Ufficio, non ha il potere di togliere a tali elementi la capacità presuntiva contributiva che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile o perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma (Ordinanza 07 aprile 2021, n. 9300).

IL CASO

La controversia trae origine dall’avviso di accertamento di maggior reddito determinato con il metodo sintetico (cd. redditometro) sulla base degli indici di capacità contributiva costituiti dal sostenimento di spese per immobili e dal possesso di un cavallo da corsa.
I giudici tributari hanno accolto il ricorso del contribuente rilevando che ai fini della determinazione del reddito andava riconosciuto come dato di calcolo l’importo ottenuto dal contribuente a titolo di finanziamento, le spese documentate per il mantenimento del cavallo da corsa e i premi erogati per il mantenimento del cavallo.

DECISIONE DELLA CASSAZIONE

La Corte di Cassazione ha riformato la decisione dei giudici tributari, ritenendola contraria ai principi di diritto applicabili in materia di accertamento sintetico del reddito, in considerazione dell’assenza di nesso causale, in termini di prova contraria a carico del contribuente, tra le somme oggetto di finanziamento e le accertate spese poste a fondamento del calcolo sintetico del reddito.
La Corte Suprema ha precisato che:
– il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. L’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione;
– in tema di delimitazione dei confini della prova contraria a carico del contribuente, l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tuttavia la disposizione di riferimento (art. 38, DPR. n. 600 del 1973) prevede anche che l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione.
La norma, dunque, chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere).
In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perché in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati”.
Né la prova documentale richiesta dalla norma risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la “durata” del possesso dei redditi in esame; quindi non il loro semplice “transito” nella disponibilità del contribuente.

Nel caso esaminato, la Corte Suprema, sulla base della documentazione bancaria, ha accertato che l’importo ottenuto dal contribuente a titolo di finanziamento era di fatto riconducibile ad una situazione di indebitamento, atteso che la provvista si è esaurita nel giro di due mesi con l’emissione di una serie di assegni bancari.

La Suprema Corte ha precisato, dunque, che il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, non ha il potere di togliere a tali “elementi” la capacità presuntiva “contributiva” che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile o perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma.

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