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Sotto la soglia dei 5mila euro, nessun obbligo di iscrizione per l’avvocato alla gestione separata

L'obbligatorietà dell'iscrizione presso la Gestione separata da parte di un professionista iscritto ad albo o elenco è collegata all'esercizio abituale, ancorché non esclusivo, di una professione che dia luogo ad un reddito non assoggettato a contr...

16 Marzo 2021 da Teleconsul Editore S.p.A.

L’obbligatorietà dell’iscrizione presso la Gestione separata da parte di un professionista iscritto ad albo o elenco è collegata all’esercizio abituale, ancorché non esclusivo, di una professione che dia luogo ad un reddito non assoggettato a contribuzione da parte della cassa di riferimento; la produzione di un reddito superiore alla soglia di euro 5.000,00 costituisce invece il presupposto affinché anche un’attività di lavoro autonomo occasionale possa mettere capo all’iscrizione presso la medesima Gestione, restando invece normativamente irrilevante qualora ci si trovi in presenza di un’attività lavorativa svolta con i caratteri dell’abitualità (Cass. Sent. n. 7227/2021).

La Corte d’appello di Bari ha confermato la pronuncia di primo grado con cui era stato dichiarato l’avvocato non tenuto ad iscriversi presso la Gestione separata in relazione ai periodi nei quali aveva prodotto un reddito inferiore ai minimi previsti per l’obbligatorietà dell’iscrizione presso la Cassa Nazionale Forense.
Secondo la Corte, in particolare, sebbene in linea generale non possa dubitarsi dell’obbligatorietà dell’iscrizione alla Gestione separata per coloro che esercitano abitualmente la professione di avvocato e che non sono tenuti a iscriversi presso la Cassa Nazionale Forense, il fatto che la professionista avesse percepito redditi di importo inferiore a € 5.000,00 rappresenta un indizio della natura occasionale dell’attività svolta, rispetto al quale l’Inps non aveva dato prova a supporto della sua natura abituale.
Avverso tale decisione, l’INPS ha proposto ricorso per cassazione. Il ricorso è stato però rigettato.
Ricostruendo la portata precettiva dell’art. 2, comma 26, L. n. 335/1995, per come autenticamente interpretato dall’art. 18, comma 12, DL. n. 98/2011 (conv. con L. n. 111/2011), la Corte di Cassazione, seguendo l’orientamento segnato dalla sentenza n. 3240/2010, ha avuto modo di affermare più volte che l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata è genericamente rivolto a chiunque percepisca un reddito derivante dall’esercizio abituale (ancorché non esclusivo) ed anche occasionale (oltre la soglia monetaria indicata nell’art. 44, comma 2, DL. n. 269/2003, conv. con L. n. 326/2003) di un’attività professionale per la quale è prevista l’iscrizione ad un albo o ad un elenco, venendo meno tale obbligo solo se il reddito prodotto dall’attività professionale predetta è già integralmente oggetto di obbligo assicurativo gestito dalla cassa di riferimento (cfr. Cass. n. 32167/2018, in motivazione, cui hanno dato continuità, tra le numerose, Cass. nn. 519/2019, 317 e 1827/2020, 477 e 478/2021).
Trattasi di affermazione che deriva dalla lettura del combinato disposto degli artt. 2, comma 26, L. n. 335/1995, e dell’art. 44, DL. n. 269/2003, il primo dei quali prevede l’obbligatorietà dell’iscrizione a carico dei «soggetti che esercitino, per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo, di cui al comma 1 dell’articolo 49 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni ed integrazioni», mentre il secondo, a decorrere dal 1° gennaio 2004, estende tale obbligo anche ai «soggetti esercenti attività di lavoro autonomo occasionale (…) solo qualora il reddito annuo derivante da dette attività sia superiore ad euro 5.000».
L’intento del Legislatore è, infatti, quello che l’obbligatorietà dell’iscrizione presso la Gestione separata da parte di un professionista iscritto ad albo o elenco sia collegata all’esercizio abituale, ancorché non esclusivo, di una professione che dia luogo ad un reddito non assoggettato a contribuzione da parte della cassa di riferimento; la produzione di un reddito superiore alla soglia di euro 5.000,00 costituisce invece il presupposto affinché anche un’attività di lavoro autonomo occasionale possa mettere capo all’iscrizione presso la medesima Gestione, restando invece normativamente irrilevante qualora ci si trovi in presenza di un’attività lavorativa svolta con i caratteri dell’abitualità.
Dirimente è, quindi, il modo in cui è svolta l’attività liberoprofessionale, se in forma abituale o meno; e se nell’accertamento di fatto di tale requisito ben possono rilevare le presunzioni ricavabili, ad es., dall’iscrizione all’albo, dall’accensione della partita IVA, dalle dichiarazioni rese ai fini fiscali o dall’organizzazione materiale predisposta dal professionista a supporto della sua attività, non è meno vero che trattasi pur sempre di forme di praesumptio hominis, che non impongono all’interprete conclusioni indefettibili, ma semplici regole di esperienza per risalire al fatto ignoto da quello noto.
Sotto questo profilo, deve escludersi che – come invece preteso dall’Istituto ricorrente – tali regole di esperienza siano passibili di irrigidirsi in virtù della normazione positiva dettata dagli artt. 61 e 69-bis, D.Lgs. n. 276/2003, così da trapassare nel campo della presunzione legale. Dalle stesse non è possibile infatti desumere alcuna presunzione iuris et de iure tale per cui un’attività libero-professionale che possa essere svolta solo previa iscrizione ad un albo o elenco debba necessariamente qualificarsi come “abituale” ai fini dell’iscrizione alla Gestione separata.
Secondo la Corte, resta piuttosto da osservare che, una volta chiarito che il requisito dell’abitualità dev’essere accertato in punto di fatto, valorizzando le presunzioni ricavabili ad esempio dall’iscrizione all’albo, dalle dichiarazioni rese ai fini fiscali, dall’accensione della partita IVA o dall’organizzazione materiale predisposta dal professionista a supporto della sua attività, ben può la percezione da parte del libero professionista di un reddito annuo di importo inferiore a € 5.000,00 rilevare quale indizio per escludere che, in concreto, l’attività sia stata svolta con carattere di abitualità.
Resta fermo che l’abitualità deve essere considerata nella sua dimensione di scelta ex ante del libero professionista, coerentemente con la disciplina propria delle gestioni dei lavoratori autonomi, e non invece come conseguenza ex post desumibile dall’ammontare di reddito prodotto, dal momento che ciò equivarrebbe a tornare ad ancorare il requisito dell’iscrizione alla Gestione separata alla produzione di un reddito superiore alla soglia di cui all’art. 44, DL. n. 269/2003, che invece, come detto, rileva ai fini dell’assoggettamento a contribuzione di attività liberoprofessionali svolte in forma occasionale.

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